Lettera di Don Antonio

Voglio iniziare rivolgendovi un sorriso.

Sono felice di essere qui tra voi, pieno di speranza e sereno come può esserlo un uomo che ritorna a casa dopo un viaggio durato tre anni.

Sono qui tra voi consapevole di essere un semplice sacerdote che deve raccogliere l’eredità dei suoi predecessori, penso a don Gianluca che ringrazio, a don Giovanni, don Francesco, don Simone e don Enrico, ma penso anche a don Corrado, don Tommaso e don Costante, delle belle figure di preti davanti alle quali mi sento piccolo, soprattutto nel volerne raccogliere il testimone.  

Entro nelle nostre comunità di Scarperia, Sant’Agata e Fagna in un periodo che vede tutte le realtà comunitarie, civili e di credenti, patire gli effetti della pandemia che ci fanno sentire un poco scollegati e disorientati. Questo tema degli effetti del covid19 necessita di soluzioni scientifiche come i vaccini, ma richiede anche una riflessione che consenta di cogliere il senso di quello che stiamo vivendo, imparando la lezione che la vita ci sta impartendo. Non basta dire che dobbiamo ripartire e riprendere da dove siamo stati interrotti dal virus, c’è bisogno di “elaborare la pandemia”; così come quando si patisce la perdita di una persona cara c’è bisogno di elaborare il lutto e quando si soffre una separazione c’è bisogno di elaborare il dolore, allo stesso modo abbiamo bisogno di elaborare la pandemia se davvero vogliamo ripartire. Non è certo oggi il giorno per sviscerare questo tema e tanto meno può farlo un uomo da solo, tuttavia voglio inserire adesso un punto di riflessione: ci rendiamo ormai conto che il rischio di contagiarsi non dipende solo dai nostri comportamenti ma dipende, anche e soprattutto, dai comportamenti degli altri e questa dipendenza dagli altri ci irrita e ci indispone, imbevuti come siamo nella nostra mentalità individualista. l’incontro-scontro con la realtà collettiva della vita umana ci indica che il primo passo per elaborare la pandemia è interiorizzare la consapevolezza di essere comunità, di doverci pensare come tale e muoverci di conseguenza.

In questo giorno del dì otto settembre, natività di Maria, la comunità scarperiese festeggia se stessa e si scopre avvantaggiata e già indirizzata sulla strada della riscoperta della dimensione collettiva e comunitaria quale chiave di lettura del cammino esistenziale dell’umanità. Mi inserisco con gioia in questo fiume di gente, in questa storia pluricentenaria e in questa terra benedetta dalla presenza del Signore, che abita  ogni luogo in cui ci si prende cura gli uni degli altri, poiché Egli vuole il bene di ogni uomo e il bene o è comune oppure non è!

Devo adesso scherzosamente denunciare lo smarrimento di un oggetto di un certo valore: ho perso la bacchetta magica… se qualcuno la dovesse trovare, sappiate che è mia. Mi presento dunque tra voi senza questo utilissimo strumento, ma sono qui con il desiderio di fare un cammino insieme con voi, mettendomi nelle mani di Dio, sono qui tra voi e sono qui per voi!

Desidero infine rivolgere un ringraziamento e un invito, il ringraziamento è per tutti coloro che svolgono una qualche servizio nelle parrocchie a cominciare dalle signore che puliscono la Chiesa fino ai membri dei consigli pastorali, dai catechisti fino ai cantori, ai chierichetti e a chiunque doni un po’ del suo tempo.  L’invito invece è a farvi avanti, a farvi conoscere; non guardatemi dalla distanza ma avvicinatevi e facciamo conoscenza prima possibile. Soffrendo di poca memoria potrei non ricordare subito i nomi di tutti ma sicuramente ricorderò il volto di ciascuno e se vi sorriderò sarà segno che vi ho riconosciuto.

Affido, in piena comunione con don Gianluca, le nostre comunità a Maria nel giorno in cui festeggiamo la sua natività. A lei che, come ci insegna il padre Dante, “qual vuol grazia e a lei non ricorre sua disianza vuol volar sanz’ali” affido la mia pochezza e la vita delle nostre comunità cristiane e civili.

Grazie. Amen.

 

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